Intorno al 1810 il conte orienta i propri interessi verso la pittura veneziana, e acquista alcune opere oggi riconosciute come i capolavori della raccolta. Si tratta della trecentesca Madonna con il bambino di Jacobello di Bonomo, della Madonna con il Bambino di Jacopo Bellini, del Sant’Antonio di Padova di Antonio e Bartolomeo Vivarini, della Madonna con il Bambino di Lazzaro Bastiani e di due opere – un San Sebastiano (nella fotografia) e una pietà di Girolamo da Treviso il Vecchio. Insieme ad una suggestiva icona, probabilmente russa, con i Funerali di San Nicola, considerata “antichissima”, questo nucleo di opere era stato radunato in una sala della Galleria (l’attuale Sala XV) allestita per raccontare la storia della pittura veneziana dalle origini al Quattrocento.

La decorazione di gusto neogotico dipinta da Luigi Dell’Era sul soffitto e sulle pareti faceva da degna cornice alle opere, sottolineandone l’importanza. Il restauro condotto nel 2018 ha consentito di recuperare la decorazione antica e di restituire uno snodo essenziale per il racconto della storia del collezionismo lombardo.

Completano il quadro della pittura veneziana la Madonna con il Bambino e santi di Palma il Giovane e il Cristo morto di Pietro della Vecchia.

È curioso che gran parte delle opere acquistate a Venezia, ad esempio i due Ritratti di doge e dogaressa riferiti a Jacopo Tintoretto, la Resurrezione di Jacopo Ligozzi, la Pietà di Gerolamo da Treviso o la Madonna con il Bambino e angeli di Liberale da Verona, attribuita a Perugino, fossero provvisti di una firma, in alcuni casi rivelatasi poi falsa. Questo conferma che il conte non era un “conoscitore”, ma era spinto ad appoggiarsi su dati certi (come, appunto, la firma) per attribuire le opere. L’iscrizione sulla tavola di Marco Palmezzano con la firma e la data di esecuzione si è rivelata rifatta nell’Ottocento, su un cartiglio originale probabilmente non più leggibile.