Autore: Jacobello di Bonomo (attivo nella seconda metà del XIV secolo)

Data: 1380 circa

Tecnica e supporto: tempera su tavola

Dimensioni: 96x68 cm

Inventario: P 20

“262. Madonna vestita con superbo manto lavorato in oro, che tiene il Bambino fra le braccia, il fondo è dorato, e scorgonsi intorno otto angioli adoranti, ed al basso il pittore Cornelio Fiore vi scrisse il suo nome. Opera antichissima in tavola.”

Luigi Tadini, Descrizione generale dello Stabilimento dedicato alle Belle Arti in Lovere dal Conte Luigi Tadini cremasco, Milano 1828.

La Madonna dell’umiltà siede su un rigoglioso prato fiorito dal profilo curvilineo, regge in grembo il Bambino che si nutre al suo seno, e lancia uno sguardo di intesa allo spettatore, consapevole del destino che la attende e del divino piano di salvezza riservato all’umanità. Attorno a lei si librano otto angeli che fuoriescono da nuvolette azzurre dalle striature dorate, simili a corolle floreali. Al motivo della Madonna umile madre di tutti i viventi si unisce quello della figura apocalittica della Regina coeli, vestita di sole, coronata di stelle e con la luna sotto i piedi, secondo le parole dell’Apocalisse (Ap. XII, 1-4). Ai lati della Vergine si intravedono infatti diverse stelle granite a otto punte, che intersecano una fitta trama di raggi incisi sul fondo aureo, simboli luminosi della sapienza divina. Ai piedi, invece, non si scorge la falce di luna, presente in tanti dipinti coevi, verosimilmente eliminata nel corso dei restauri cui l’opera fu sottoposta nella prima metà del secolo scorso (Luigi Cavenaghi nel 1905 fu il responsabile delle integrazioni pittoriche, e Mauro Pellicioli nel 1942 del complesso intervento di parchettatura sul retro del dipinto). Durante tali interventi venne pure rimossa un’iscrizione apocrifa che assegnava l’opera alla personalità fittizia di Cornelio Fiore. La descrizione pubblicata nella Guida della collezione del 1828 recita infatti: la “Madonna vestita con superbo manto lavorato in oro, che tiene il Bambino fra le braccia, il fondo è dorato, e scorgonsi intorno otto angioli adoranti, ed al basso il pittore Cornelio Fiore vi scrisse il suo nome. Opera antichissima in tavola”, dove gli estremi della firma rappresentano forse una storpiatura del ben più noto Jacobello del Fiore. Il dipinto fu infatti acquistato a Venezia da Luigi Tadini nel 1813, dopo le spoliazioni di chiese e abbazie verificatesi a seguito della caduta della Repubblica e dei decreti napoleonici di soppressione degli istituti religiosi, tra ‘700 e ‘800. In quel frangente si sviluppò un fiorente mercato di opere d’arte, attorno a cui ruotavano, da una parte, figure di eruditi, amatori e collezionisti, dall’altra mercanti e venditori senza scrupoli, che fungevano da intermediari tra le famiglie nobili decadute e i nuovi acquirenti, e all’occasione non mancavano di sottoscrivere falsamente i dipinti con nomi altisonanti, a fini di lucro.

L’opera è stata variamente riferita ad artisti diversi nell’ambito di Lorenzo Veneziano. Nel 1964 Rodolfo Pallucchini attribuisce la tavola a un anonimo pittore di ambito veneziano, che convenzionalmente chiama “Maestro del Memento Mori”, insieme alla Madonna dell’Umiltà al Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid e a quella del Museo Puskin di Mosca, con cui l’opera Tadini mostra forti affinità iconografiche. Recentemente Andrea De Marchi ha diversificato la paternità del gruppo riferendo la tavola Thyssen a Donato Veneziano e la nostra opera a un artista più vicino al magistero di Lorenzo “come potrebbe essere stato da giovane Jacobello di Bonomo”.

Tale intuizione può oggi essere confermata grazie ad una maggiore comprensione della carriera del pittore, che si presenta come uno dei principali protagonisti della pittura veneziana della seconda metà del XIV secolo. Su Jacobello di Bonomo abbiamo poche notizie documentarie: nel 1375 firma e data un’ancona perduta con Sant’Orsola per la fraglia omonima, in origine nella Cappella Garzadori della chiesa agostiniana di San Michele a Vicenza; il 20 maggio 1384 sottoscrive un contratto con Biagio del fu Luca da Zara, che assume per due anni come allievo e garzone, mentre un controverso documento del 1385 lo vedrebbe attivo a Treviso insieme ad un altro pittore del panorama lagunare, Giovanni da Bologna. Importante per ancorare l’attività di Jacobello all’ambito lagunare, inoltre, è il disegno per i mosaici inseriti nella lunetta e nella cuspide sopra la tomba del doge Michele Morosini (morto nel 1382), nella cappella maggiore dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia, a lui ricondotto da Andrea De Marchi, mentre nel 1385 il pittore firma e data il polittico con la Madonna col Bambino e santi della Collegiata di Santarcangelo di Romagna.

La formazione di Jacobello dovette avvenire in seno alla bottega di Lorenzo Veneziano, dai cui tuttavia egli si discostò per una spiccata linea monumentale e per una certa severità di accenti. Un suo intervento di collaborazione si può forse ravvisare già nei polittici di Lecce e di Arquà Petrarca, attribuibili alla bottega laurenziana nel corso degli anni ’70. A queste opere è possibile avvicinare i santi Pietro e Andrea, Giovanni Battista e Paolo del museo Correr di Venezia, resti di un polittico disperso e memori ancora di certe asprezze di Paolo Veneziano. Agli anni ’80 è possibile invece assegnare le altre opere di Jacobello, da quelle più vicine ai canoni laurenziani – come la raffinatissima tavola con l’Augusto e la Sibilla della Staatsgalerie di Stoccarda, il Sant’Agostino in cattedra e due donatori della Pinacoteca Malaspina di Pavia, il polittico con la Madonna col Bambino e santi della Collegiata di Santarcangelo di Romagna, firmato e datato 1385 – a quelle come la Croce monumentale della chiesa parrocchiale dei Santi Gervasio e Protasio di Carpenedo presso Mestre, che sembrano sviluppare una particolare vena descrittiva, d’impronta ormai tardogotica e vicina agli esordi di Nicolò di Pietro.

In capo alla fase più strettamente laurenziana vi è anche la Madonna dell’umiltà Tadini, che ostenta un apparato decorativo di straordinaria ricchezza e un registro espressivo assai vicino ai toni profani e aggraziati dell’ultimo Lorenzo. Di particolare rilievo e tipici della produzione di Jacobello sono gli incarnati sodi e luminosi, su cui si stampano i delicati e sottili lineamenti della Vergine e quelli più goffi e impacciati del bambino, le posture prospetticamente corrette e la presa salda della mano destra della Vergine, la raffinata modulazione cromatica delle pieghe della veste rosso lacca, trattenute sul seno da una spilla preziosa, l’intrico fittissimo di racemi e palmette a bulbo della decorazione del manto, la sontuosa punzonatura delle aureole tempestate di finte pietre preziose.

L’opera in esame permette dunque di comprendere meglio gli esordi laurenziani di Jacobello di Bonomo, un artista assai singolare, che riesce a congiungere una solennità di arcana matrice bizantina con una sensibilità descrittiva, un’ostentazione decorativa con inserti di grande perspicuità spaziale, interpretando quella particolare congiuntura del panorama veneziano che precede l’avvento di Gentile da Fabriano e della cultura tardogotica.

Cristina Guarnieri


Per saperne di più:

R. Pallucchini, La pittura veneziana del Trecento, Venezia-Roma 1964, pp. 200-207.

A. De Marchi, Per un riesame della pittura tardogotica a Venezia: Nicolò di Pietro e il suo contesto adriatico, in «Bollettino d’arte», s. VI, 44-45, 1987, pp. 25-66;

M. Lucco, ad vocem Jacobello di Bonomo, in La pittura nel Veneto. Il Trecento, a cura di M. Lucco, Milano 1992, pp. 528-529;

A. De Marchi, Il vero Donato Veneziano, in “Arte in Friuli, arte a Trieste”, 21/22, 2003, pp. 63-72, in part. p. 72 nota 16;

C. Guarnieri, Jacobello di Bonomo: polittico di San Pietro in Ciel d’Oro, in San Nicola da Tolentino nell’arte. Corpus iconografico. I. Dalle origini al Concilio di Trento, a cura di V. Pace, Milano 2005, p. 420 n. SC 1;

C. Guarnieri, Per un corpus della pittura veneziana del Trecento al tempo di Lorenzo, in Saggi e memorie di storia dell’arte, 2006, 30, pp. 1-131, in part. pp. 10-13, 37-38;

C. Guarnieri, Jacobello di Bonomo. Sant’Agostino in cattedra e due donatori, in La Pinacoteca Malaspina, a cura di S. Zatti, Milano 2011, pp. 225-226;

C. Guarnieri, Una Crux de medio ecclesiæ di Jacobello di Bonomo per la chiesa di San Matteo di Rialto a Venezia, in Inedita mediævalia. Scritti in onore di Francesco Aceto, a cura di Francesco Caglioti e Vinni Lucherini, Roma 2019, pp. 227-236.