La decisione di riprendere il percorso artistico di Giorgio Oprandi, a vent’anni di distanza dalle ultime esposizioni (1998 e 1999), si giustifica alla luce di dati e opere nuovi emersi durante il percorso di ricerca, esposte nel catalogo che accompagnerà l’esposizione.
La mostra, curata da Silvia Capponi e da Marco Albertario, è promossa dall’Accademia Tadini e dal Comune di Lovere, ed è stata realizzata con la collaborazione dello Studio d’arte San Tomaso a Bergamo e con la Quadreria dell’800 a Milano.
Il percorso espositivo integra il nucleo di opere di proprietà dell’Accademia Tadini e del Comune di Lovere con importanti prestiti. A fronte di un artista poco rappresentato nelle collezioni pubbliche, risulta significativa la partecipazione al progetto di importanti istituzioni bergamasche quali l’Accademia Carrara, l’Ateneo di Scienze, Lettere ed Arti e il Seminario Vescovile Giovanni XXIII con un nucleo di opere essenziali alla ricostruzione della fisionomia dell’artista.
L’esposizione è aperta dal 30 giugno al 9 settembre, presso la Galleria dell’Accademia Tadini.
Il percorso si apre evocando gli anni della formazione, divisi tra Bergamo, Roma, Milano, e l’esordio come pittore di figura. Le opere selezionate – tra suggestioni talloniane e aperture moderniste – raccoglie intorno ad un inedito taccuino giovanile un primo gruppo di dipinti riferibili al periodo 1901-1915. La sequenza proposta non nasconde i problemi ancora aperti: l’affermazione di Oprandi come ritrattista (una pratica che successivamente abbandonerà) e il contatto con gli ambienti culturali romani legati ad un clima di matrice simbolista, una fase alla quale si può forse riferire la Primavera, opera che sia nel titolo che nella composizione fa riferimento al clima di matrice simbolista.
La produzione durante e dopo la Prima Guerra Mondiale (1916-1918) è stata recentemente valorizzata dalla presentazione presso il Museo della Guerra Bianca di Temù di quattro bozzetti per la decorazione della cappella della Madonna dell’Adamello in Conca Venerocolo presso il Rifugio Garibaldi. Questa sezione raccoglie intorno a La battaglia bianca, importante tela del 1917 individuata presso una collezione privata, una serie di dipinti che ritraggono le cime innevate dell’Adamello. Sul fronte opposto, Figlio di Caino, il cui significato è emerso dalle più recenti ricerche, sintetizza un’interpretazione della guerra in chiave ancora simbolista.
La fase africana (1923-1935) sollecita nuovi interrogativi. Se da una parte l’Africa, nella solitudine dei deserti e negli sconfinati altipiani, costituisce il racconto più personale e intimista di Oprandi paesaggista, dall’altra parte i vicoli delle cittadine arabe, i suoi mercati e gli uomini che la abitano mostrano uno sguardo educato alle immagini di taglio etnografico che circolavano attraverso le riviste illustrate. Ed è soprattutto in questo sguardo documentaristico che il governo italiano vede uno strumento efficace di promozione delle colonie italiane, come dimostrano i titoli dei soggetti che compaiono nell’ambito delle mostre d’arte coloniale a cui l’artista partecipa. Molto resta ancora da definire nelle pratiche del pittore, in particolare il rapporto tra bozzetti e opere finite e l’uso della fotografia. Accanto ai dipinti sarà eccezionalmente presentata la celebre “casa viaggiante” del pittore, eccezionale prestito da una collezione privata, nota agli italiani per le riprese in un cinegiornale dell’Istituto Luce.
La penultima sezione ripropone l’esperienza del viaggio in Albania (1940), momento meno considerato nella fortuna artistica del pittore e che invece ha restituito una serie di opere molto importanti sia per il genere del paesaggio che del ritratto. Ne è testimonianza la Fanciulla albanese di collezione privata, dipinto notissimo negli anni Quaranta di cui poi si erano perse le tracce, risultato di una meditazione sul costume che trova nei ritratti esiti di alto livello. Con la costruzione dell’abitazione-studio lungo via Fara a Bergamo, a cui corrispondono una serie di vedute di Città Alta, si introduce il tema del “ritorno”, che viene svolto nell’ultima sala.
Tra la fine degli anni Quaranta e gli anni Cinquanta il ritorno a casa di Oprandi è segnato infatti da un’intensa attività come pittore di paesaggio evocata attraverso una serie di vedute di Bergamo, del Lago d’Iseo e di Bossico – a cui si affiancano anche interpretazioni della laguna veneta e del delta del Po – nelle quali il pittore si esprime con una tecnica sempre più veloce, fino ad arrivare ad una scrittura scabra e asciutta, ben evidenziata dall’ultimo Autoritratto dell’artista datato al 1960.