C’è un filo sottile e tenace che lega Francesco Hayez a Lovere. Non si tratta solo di arte, ma di affetti, ideali e memorie familiari. È attraverso la figura di Carlotta Martinolli, nipote del pittore e moglie del notaio loverese Enrico Banzolini, che questo legame si fa concreto. Dopo i moti rivoluzionari del 1848–49 e la caduta della Repubblica veneziana, Enrico, che si era arruolato come volontario in difesa della Repubblica di San Marco (1848-1849) fu costretto a lasciare Venezia e tornare a Lovere. Le opere donate da Francesco Hayez ai nipoti sono oggi il punto di partenza di un racconto più ampio, che si propone al pubblico attraverso una mostra, curata da Stefano Bosi, dedicata alle eroine romantiche nell’arte di Hayez.
Eroine amate, combattute, perdute. Donne al centro di passioni violente e struggenti, colte spesso nel momento dell’addio. Sono figure che attraversano la storia e la letteratura, e che Hayez seppe interpretare con rara sensibilità, traducendo in immagini il battito segreto dell’animo ottocentesco.
Con queste parole Antonio Rodani nel 1874 riconosce nel pittore veneziano l’artefice di un nuovo repertorio romantico, alimentato dalla storia medievale e dal romanzo moderno, le cui eroine sono al centro di travolgenti passioni, spesso dagli esiti fatali, in sintonia con la sensibilità dell’epoca. A questo tema è dedicata la mostra di Lovere, che esporrà nel salone principale quattro importanti opere di Francesco Hayez ispirate alle vicende avventurosa di tre eroine romantiche.
Il percorso si apre con l’acquerello che ripropone un tema svolto da Francesco Hayez in due versioni (1823, 1833): L’ultimo addio di Giulietta e Romeo apre quindi questa galleria di addii. Nell’aquerello in mostra Hayez esplora con delicatezza l’intimità del momento: un tema che lo accompagna per tutta la vita, fino a culminare nel celebre Bacio del 1859, emblema visivo della passione amorosa e dell’ideale patriottico.
Il romanzo La duchesse de la Vallière di Madame de Genlis (1804-1806) racconta gli amori di Luigi XIV e Marie-Louise de La Vallière che, a seguito di una crisi di coscienza, sceglie di entrare in un monastero carmelitano. L’episodio è rappresentato in una tela del 1838. In lei Hayez legge la fermezza di una donna divisa tra passione e rimorso, in perfetta sintonia con il gusto romantico francese.
Ospite d’eccezione è la monumentale tela che illustra la storia di Imelda de’ Lambertazzi. La vicenda è ambientata nella Bologna del XIII secolo, scossa da conflitti politici: Imelda, figlia dei ghibellini Lambertazzi, ama Bonifacio de’ Geremei, esponente di una famiglia guelfa. La fortuna dell’argomento è testimoniata dalle molte attestazioni letterarie, in prosa, in rima e in musica. In particolare, ricordiamo il racconto di Defendente Sacchi, I Lambertazzi e i Geremei, del 1830, e nello stesso anno la messa in scena dell’omonimo melodramma musicato da Gaetano Donizetti nel 1830.
Il sogno di riconciliazione dei due giovani si scontra con le ragioni delle famiglie. L’ultimo incontro tra Imelda e Boifazio, prima dell’agguato mortale da parte dei fratelli, sarà riproposto da Hayez in più versioni, fino ad arrivare al dipinto del 1853.
Sopra, Francesco Hayez, Imelda de’ Lambertazzi, 1853, Collezione privata, courtesy Stefano Bosi
Nel celebre testo dedicato alla Pittura moderna italiana (1840), Giuseppe Mazzini aveva individuato in Francesco Hayez
«il capo della scuola di Pittura Storica, che il pensiero Nazionale reclamava in Italia: l’artista più inoltrato che noi conosciamo nel sentimento dell’ideale che è chiamato a governare tutti i lavori dell’Epoca. La sua ispirazione emana direttamente dal Popolo; la sua Potenza direttamente dal proprio genio: non è settario nella sostanza, non è imitatore nella forma».
Proprio il recupero di un tema medievale, sentito come estraneo alla necessità di una pittura “nazionale”, era stato oggetto di forti critiche nel difficile passaggio tra la Prima (1848-1849) e la Seconda (1859-1860) guerra d’indipendenza. Nel 1853, il letterato Carlo Tenca recensendo l’Imelda dei Lambertazzi presentata all’esposizione annuale di Brera scriveva di Hayez:
«II suo modo di dipingere inclina più al romanzo storico che non alla storia propriamente detta, è quasi sempre più attraente che vero. Però egli riesce meglio in quei soggetti, in cui la fantasia à men legata dalla rigorosa severità del fatto, dove più libera è l’invenzione, e la mano non è impacciata a ogni tratto dall’importuna verità della storia».
Il pittore risponderà indirettamente a queste critiche nel 1859 con il celebre Bacio (Milano, Pinacoteca di Brera), destinato a imporsi come manifesto della pittura romantica e dell’impegno civile. L’acquerello in mostra, dalla collezione di Andrea Maffei, anticipa o ripropone il tema del bacio del volontario (il giovane in partenza porta una croce rossa ritagliata cucita sul petto), dando alla separazione il significato politico della lotta per un ideale.
Sotto, Francesco Hayez, Il bacio, 1859, Collezione privata, courtesy Quadreria dell’800, Milano
Dopo il clamoroso successo del Bacio, Hayez si distaccò progressivamente dalla vita pubblica, cessando l’insegnamento a Brera, mantenendo vivi i legami familiari, come dimostra il rapporto con Carlotta e Enrico. Un gruppo di lettere, pubblicate negli scorsi anni, racconta lo stretto legame tra lo zio ed i nipoti, con i quali discuteva anche di politica e di ideali libertari.
Un significativo nucleo rappresentativo della tarda attività dell’artista, che comprende la Madonna del 1869, l’intenso Autoritratto, concluso intorno al 1878, e il solenne Ecce Homo, dipinto tra il 1867 e il 1875, estremo capolavoro della pittura di storia. A queste opere va aggiunto il Ritratto del notaio Banzolini dipinto da Vincenzo Hayez, nipote dell’artista.
Carlotta, custode di queste memorie familiari, decise di donare al museo Tadini le lettere e i dipinti ricevuti in dono dallo zio: un gesto di generosità e di fiducia nella cultura come bene comune.