Autore: Francesco Hayez (Venezia, 1791 - Milano,1882)
Data: 1867-1875
Tecnica e supporto: olio su tela
Dimensioni: 210x128 cm
Inventario: P 315
Autore: Francesco Hayez (Venezia, 1791 - Milano,1882)
Data: 1867-1875
Tecnica e supporto: olio su tela
Dimensioni: 210x128 cm
Inventario: P 315
Con una lettera del 3 giugno 1875 Francesco Hayez informava l’amata nipote Carlotta Banzolini che la grande tela rappresentante l’Ecce Homo era pronta per essere inviata a Lovere, dove lei risiedeva, e concludeva: “Io lavoro sempre con passione dell’arte ma in questa tela la raddoppiai perché se sarò encomiato questo ti rechi consolazione e perché volendo terminare con questo lavoro la mia carriera artistica possa vantare che a 85 anni fui ancora pittore”.
L’invio del dipinto chiudeva una vicenda che aveva impegnato l’autore in una lunga e travagliata esecuzione – ben testimoniata dai disegni preparatori e dai ripensamenti individuati in occasione delle recenti indagini scientifiche condotte sull’opera -, in parte segnata dalla convinzione – e forse anche dal timore – che quel quadro sarebbe stato l’ultimo della sua carriera. In realtà ancora ben lontano dall’esaurire la sua instancabile attività artistica, Hayez compiva un estremo capolavoro, il cui avvio risalirebbe al 1867, proprio in coincidenza con il suo commiato ufficiale dalla scena pittorica, sancito dal dono all’Accademia di Brera degli Ultimi momenti del doge Marin Faliero sulla scala detta del Piombo e a quella di Venezia della Distruzione del tempio di Gerusalemme.
In quel clima di profonda sfiducia seguita alla realizzazione delle istanze unitarie e di condanna verso gli orrori della guerra, queste altissime prove della maturità sembrano consegnarci un tragico bilancio sul duplice versante storico ed esistenziale, rispetto al quale l’Ecce Homo assume il valore simbolico di un dolore cosmico, insieme umano e divino. Hayez aveva affrontato lo stesso soggetto in altre versioni, nel 1829 e nel 1850, entrambe di destinazione privata, rispetto alle quali la grande tela loverese si distingue per la forza scenica, accentuata dell’isolamento del Cristo condotto “fuori dalla casa di Pilato e posto onde sia visto dal popolo [dal quale lo separano] venti gradini come p.e. la chiesa di S. Simone piccolo in Venezia”. Raccomandando che fosse collocato in alto (in modo che “quello che guarda il quadro sia fra il popolo che gridano di volerlo crocifiggere”), l’autore si prefiggeva un effetto monumentale, già accentuato dall’inserimento in corso d’opera di un’ampia striscia di tela lungo il margine inferiore e dalla serrata scansione ritmica del colonnato.
Una soluzione compositiva che, insieme alla materia pittorica ricca e sciolta, rimanda all’ininterrotta riflessione del pittore sui modelli della grande tradizione veneta, in particolare dell’amatissimo Tiziano, del quale aveva copiato fin dalla giovinezza La presentazione di Maria al tempio (Venezia, Gallerie dell’Accademia), cui si affianca nella maturità un nuovo interesse per Giovan Battista Tiepolo espresso nel San Michele arcangelo (1839, Iseo, chiesa parrocchiale di Sant’Andrea), da cui deriva la svolta nella sua pittura sacra segnata dal Martirio di San Bartolomeo (1856, Castenedolo, chiesa parrocchiale di San Bartolomeo Apostolo) che figurava all’Esposizione Universale di Parigi nel 1867.
Elena Lissoni